In Italia una donna su tre subisce violenza. Pensate ancora che questo fenomeno non ci riguardi tutti?
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Lo so, lo so. Questo è un blog di arte e non di attualità. Ma per una volta fare un piccolo strappo alla regola mi è sembrato lecito, perché il fenomeno della violenza maschile sulle donne è un problema troppo grande per non parlarne, e troppo diffuso per far finta che non ci riguardi tutti.
Lo dicono le statistiche e i giornali, lo ribadiscono le Associazioni e i Centri Antiviolenza, e soprattutto ce lo testimonia Titti Carrano, presidentessa dell'Associazione Nazionale DIRe (Donne In Rete contro la violenza), ospite di una conferenza organizzata dall'Associazione Donne della Banca d'Italia (ADBI).
![Titti Carrano (DIRE-Donne in rete) e Virginia Giglio (ADBI). Foto di A. Paionni](https://image.jimcdn.com/app/cms/image/transf/dimension=386x1024:format=jpg/path/s4b5603c773752cea/image/i5cb0edbd29b64172/version/1477414830/image.jpg)
Questo articolo trae spunto proprio dalle parole -- e soprattutto dalla passione -- dell'intervento di Titti Carrano.
La violenza maschile contro le donne nel nostro paese è un fenomeno diffuso, di natura culturale e strutturale, che nasce da una disparità nei rapporti di potere basata sul genere. E' il retaggio di una società patriarcale in cui il potere tra i sessi è fortemente sbilanciato nelle mani degli uomini e in cui le donne sono in condizione di subordinazione e dipendenza-- anche economica. La violenza contro le donne può assumere molte forme: quella fisica (la più tangibile), ma anche psicologica ed economica; può diventare violenza "assistita" quando i bambini sono costretti ad assistere quotidianamente alla violenza esercitata sulle loro madri.
Ma sia chiaro a tutti (e a tutte): la violenza maschile sulle donne è un problema degli uomini. Sarebbe dunque importante interrogarsi sul perché, e che a farlo fossero anche (e soprattutto) gli uomini.
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Dove vanno le donne quando subiscono violenza? In molti casi da nessuna parte. Tendono a chiudersi, isolarsi, perdono la propria libertà e la fiducia in se stesse, si sentono sbagliate, inadeguate, sviluppano un senso di colpa -- istigato dal loro aguzzino. Spesso occorrono anni prima che si decidano a chiedere aiuto. Per tale ragione è fondamentale l'esistenza e il potenziamento dei centri antiviolenza, specializzati nell'offrire il più idoneo tipo di assistenza a ciascuna donna in difficoltà. La funzione delle strutture antiviolenza e delle case rifugio è centrale: costituiscono il primo punto di contatto e di ascolto (anche telefonico), instaurano una relazione con le donne in difficoltà e le accolgono in strutture in grado di offrire l'assistenza necessaria (relazionale, ma anche psicologica, legale, ecc.). Il tutto ovviamente gratis, e solo se è la donna a volerlo.
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L'obiettivo principale di questi centri è infatti quello di aiutare le donne a riprendere possesso della propria vita, ricostruire un rapporto sano con i figli e prendere coscienza del fatto che non sono sbagliate: hanno solo avuto la sfortuna di incontrare gli uomini sbagliati. Per fare tutto ciò (e per farlo bene) i centri devono disporre di personale altamente qualificato e di risorse congrue.
In Italia le strutture antiviolenza e le case rifugio sono ancora poche rispetto agli standard fissati a livello internazionale (in rapporto alla popolazione), e soprattutto non riescono a offrire rifugio e sostegno a tutte le donne in difficoltà. Tale situazione dipende principalmente dal fatto che i finanziamenti sono gravemente insufficienti. Fa storia la recente deliberazione della Corte di Conti del 5 settembre 2016 che ha bollato come "del tutto insoddisfacente" la gestione delle risorse assegnate per il potenziamento delle strutture di assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli -- parliamo di più di 16 milioni di euro quasi tutti spariti nel nulla.
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C'è però anche un rischio più sotterraneo, oltre all'endemica carenza di fondi, che minaccia i centri antiviolenza: è quello di una loro progressiva istituzionalizzazione. Il valore aggiunto delle strutture esistenti è dato infatti dall'eccezionale flessibilità di cui godono: non ci sono protocolli nè procedure standardizzate da seguire, ed è pertanto possibile ritagliare le attività sulle concrete esigenze di ogni donna che chiede aiuto. Esigenze che possono essere molto diverse. E' infatti fondamentale -- spiega Titti Carrano -- che queste donne, dopo anni di soprusi e violenze, di libertà negate e annullamento della propria persona, possano tornare a decidere autonomamente della loro vita e siano accompagnate dal personale dei centri in questo percorso di empowerment, di cui dettano loro stesse tempi e condizioni. Più di una donna ce la fa. Grazie a se stessa, ma anche al supporto delle strutture antiviolenza.
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Ho scritto tanto, forse troppo, ma non ho ancora affrontato la domanda iniziale: cosa possiamo fare per contrastare la violenza sulle donne? Come possiamo combattere un fenomeno così diffuso e trasversale, presente in ogni contesto e classe sociale?
Ci vogliono tante risorse e una vera e propria rivoluzione culturale, che però richiede tempo. Nel nostro piccolo, intanto, possiamo contribuire a sensibilizzare le persone sul problema, parlarne con i nostri figli, combattere gli stereotipi di genere, nella consapevolezza che in Italia la violenza sulle donne non è un'emergenza circoscritta, ma un fenomeno culturale e strutturale costante. Dati alla mano, infatti, la violenza sulle donne fa più vittime della mafia. Allora, che vogliamo fare?
Alessia Paionni